Giovanni Antonio de’ Sacchi: Il Pordenone dal 1483 al 1520

Prefazione
Negli anni che vanno dal 1504 al 1537 Pordenone passò varie volte dagli Austriaci ai Veneziani; ai disagi delle occupazioni e dei saccheggi si aggiunsero la carestia, la peste e nel 1511 il terremoto. Il pittore per scampare a tali pericoli, si trasferì in campagna, lavorando per gli abitanti del luogo, in tal modo lasciò una testimonianza indelebile nei villaggi della pedemontana pordenonese, di cui molte andarono perdute.
VITA e OPERE
Giovanni Antonio de’ Sacchi nacque a Pordenone nel 1483 (o 1484) da Angelo muratore proveniente da Corticelle Pieve (BS). Forse fu autodidatta, forse discepolo di Pellegrino da San Daniele, forse scolaro e collaboratore di Gianfrancesco da Tolmezzo. In ogni modo egli partì da una visione e da un’esperienza nettamente friulana della pittura e vi si mantenne più o meno fedele fino ai trent’anni. Poi la conoscenza della pittura veneziana e romana, lo portarono a convertire la sua pittura da popolare a colta.
Forse a causa della vita, fu un uomo di temperamento turbolento, collerico e passionale, ma nel contempo il coraggio di combattere dovunque le sue battaglie, lo fece curioso e intraprendente.
Nel 1494 si sposò con una Anastasia da Giamosa, ma presto rimase vedovo.
La prima opera certa del pittore è custodita nella Parrocchiale di S. Stefano a Valeriano (PN) (1506), essa raffigura S. Michele Arcangelo in atto di calpestare Satana tra i SS. Valeriano e Giovanni Battista. Il giovane pittore palesa una tecnica quattrocentesca di scuola tolmezzina, l’utilizzo degli spazi risulta scorretto, ma s’intravede un’innovativa capacità di utilizzo della luce, un’eleganza nervosa della figura e uno slancio aggraziato che il tempo farà soltanto più vigoroso e convinto.

Negli affreschi della Chiesa di S. Lorenzo di Vacile (PN) (1506-1510) sulla volta dell’abside, suddivisa in otto scomparti da robuste ogive sono raffigurati:

  • al centro il Cristo risorto con lo stendardo nella destra
  • nelle vele contigue i Padri della Chiesa
  • i vertici inferiori gli Evangelisti ed i Profeti
  • nel sottarco Enoch, un angelo ed Elia
  • nel piedritto San Rocco.

In quest’ultima opera il Pordenone, pur rimanendo legato a Gianfrancesco, subì l’influenza della pittura veneziana, in particolare del Giorgione, in quanto il suo tratto diventò più dolce ed inoltre la sua tecnica si sviluppò in senso manierista.
Nel Duomo di S. Marco a Pordenone su un pilastro è affrescato S. Erasmo (1512-1514) il cui braccio rompe lo schema della cornice architettonica.
Nel 1513 si risposò con Elisabetta Quagliati da Pordenone, vedova anch’ella.
Negli affreschi della volta e del coro della chiesa di S. Ulderico a Villanova (PN) (1514), con i Padri della Chiesa seduti ai loro scrittoi, rivediamo il tradizionale schema decorativo del Tolmezzino, ma è innovativo l’uso di tonalità chiare e luminose e l’estrema libertà nella realizzazione pittorica; interessante è la figura del Profeta Geremia che risulta vigorosa e realistica nel gesto e che viene realizzata dal Pordenone senza ricorrere a un segno netto ma modulando e sfumando tre tinte: ocra rossa, bianco e terra di Siena.
L’influenza della pittura veneziana, un po’ travisata, si nota nella smodatezza cromatica e nell’opulenza di forme. Può darsi che questo sia la conseguenza del sovrapporsi della dovizia coloristica incontrata a Venezia e della veemenza grafica ereditata da Gianfrancesco: il voler costruire col colore ciò che era già costruito col segno. Questa determinò un periodo di crisi pittorica, in cui il pittore non riusciva a trovare il proprio equilibrio.
Nella pala della chiesa di SS. Ruperto e Leonardo di Vallenoncello (PN) (1513-14), Madonna con il Bambino tra i Santi Sebastiano, Ruperto, Leonardo e Rocco, gli orientamenti della pittura veneziana sono evidenziati nella costruzione dei volumi, affidati a luce e colore e nella apertura atmosferica sullo sfondo.
Al Castello di Udine è presente la Madonna della Loggia (1516).
Nella Chiesa di S. Lorenzo a Rorai Grande (PN) (1516), il pittore affrescò la volta del coro, nelle quattro ogive e nel medaglione al centrale sono raffigurati gli episodi della vita della Vergine: la presentazione al Tempio, lo Sposalizio, la Fuga in Egitto e l’Assunzione. In quest’opera colpisce l’aspetto realistico delle figure e l’uso di tonalità più cupe fredde rispetto ai toni chiari e luminosi degli affreschi della chiesa di Sant’Ulderico.
Finalmente nella pala di Susegana (TV) (1516), Madonna con bambino e Santi fu definitivamente superata la crisi; infatti fu riconquistato l’equilibrio ed una maggiore libertà espressiva. Il colore viene utilizzato in funzione costruttiva, non soltanto decorativa, ma gli resterà una certa inclinazione alle sovrabbondanze anatomiche ed alle impetuosità compositive, che lo farà apparire talvolta un precursore del barocchismo.
L’impostazione delle scene e l’organizzazione della prospettiva, il giusto uso della luce che fa risaltare la profondità degli spazi e i volumi delle figure, dimostrano che il pittore ha raggiunto la maturità.

Nel Duomo di Pordenone (1515-16), dietro l’altare maggiore c’è la Madonna della Misericordia col bambino, la pala è perfettamente equilibrata nel rapporto personaggi-ambiente, interessante è il Bambino che non ne vuole saperne di stare fermo.
Sempre nel Duomo di Pordenone c’è S. Rocco (1515-1518), che occupa lo spazio in modo pieno catturando la nostra attenzione grazie all’intensità dello sguardo e alla modernità dei vestiti.
A Torre (PN) nella Chiesa dei SS: Ilario e Taziano (1519-21) è conservata la pala dell’altare maggiore, raffigurante la Madonna tra i Santi Ilario e Taziano, Antonio Abate e Giovanni Battista, una delle opere più vigorose del Pordenone.
Intorno al 1518 il Pordenone andò a Roma, dove a contatto con le opere di Raffaello e Michelangelo, orientò la sua pittura vasta e drammatica, verso un ulteriore raffinamento della tecnica pittorica.
Negli affreschi delle pareti della cupola della cappella Malchiostro (1520) nel Duomo di Treviso, si possono scorgere queste influenze nelle:

  • Adorazione dei Magi
  • la Visitazione
  • il sogno di Augusto
  • il Padre Eterno
  • SS. Pietro e Paolo
  • SS. e Dottori della Chiesa

Lakmé – Delibes

MusicaMusica:       DELIBES CLÉMENT LÉO
Libretto:      Edmond Gondinet e Philippe Gille, dalla novella Rarahu ou Le Mariage de Loti di Pierre Loti Rarahu (1880) pseudonimo di Julien Viaud
Composto: luglio 1881 – marzo 1883
1^ rappresentazione: 14 aprile 1883
Teatro:        Operà-Comique di Parigi
Atti:             III
Personaggi

Gerardo
Frédérick
Nilakantha
Lakmé
Mallika
Hadji
Ellen
Rosa
Miss Benson
Uno zingaro
Un mercante cinese
Un ladro
ufficiale inglese
ufficiale inglese
prete Bramino
sua figlia
sua serva
servo indù
figlia del Governatore
sua amica
sua governante
/
/
/
Tenore
Baritono
Basso
Soprano
Mezzo soprano
Tenore
Soprano
Soprano
Mezzo soprano
Tenore
Tenore
Baritono
Ufficiali inglesi e signore, Hindoos, Bramini, Mercanti, compratori, musicisti, marinai, Cinesi, dervisci, danzatrici, fedeli indù Mercanti Coro

Introduzione
L’esotismo, in Francia fu una moda largamente diffusa nella seconda metà dell’Ottocento.
Per quanto riguarda la letteratura, si può far risalire questo stile, alla prima traduzione francese delle Mille e una notte curata da Galland, all’inizio del Settecento. Accanto agli scrittori classici come Théophile Gautier e Gustave Flaubert, si affiancò la più ordinaria prosa di Pierre Loti, i cui romanzi a sfondo marinaresco trovarono largo seguito presso i lettori.
Per quanto riguarda la musica, il primo capolavoro musicale esotico fu L’Africana di Meyerbeer, andata in scena nel 1865. D’allora, il teatro conobbe una fioritura di titoli che s’ispiravano ad un mondo di fantasia.
Delibes071lakme01Vita
Delibes nacque a Saint-Germain-du-Val nel 1836, figlio di un postino e di una musicista, nipote di un cantante lirico. Il padre morì quand’era bambino, per cui fu cresciuto dalla madre e dallo zio.
Nel 1871 sposò Léontine Estelle Denain.
Morì nel 1891 a Parigi e fu sepolto nel cimitero di Montmartre.
Carriera
Dal 1847 Delibes studiò pianoforte, organo, armonia, composizione (allievo di Adolphe Adam autore del balletto Giselle), al Conservatorio di Parigi.
Dal 1853 al 1865 fu accompagnatore pianistico al Théatre-Lyrique, contemporaneamente fu organista al Saint-Pierre-de-Chaillot e dal 1862 al 1871 al Saint-Jean e Saint-Francois. Inoltre fu dal 1881 professore di composizione al Conservatorio.
Esordì in teatro con l’operetta Deux sous de carbon nel 1856, seguirono le più famose L’omelette à la Follembuche nel 1859 e Le serpentà arrivò à plumes nel 1864.
Il compositore arrivò alla vera fama nel 1870 con il balletto Coppelia. Oltre al succitato balletto, musicò Sylvia (1876) e La Source (1866).
Delibes scrisse anche varie opere liriche, in ordine cronologico: Le boeuf Apis (1865), La cour du roi Petaud (1869), Le roi l’a dit (1873), Jean de Nivelle (1880), la famosa Lakmé (1883), Kaddya (1893).
Nel suo repertorio c’è anche una Messa, una cantata, musiche di scena, arie.
Musica
La musica di Delibes è caratterizzata da delicatezza, eleganza, grazia e morbidezza nella linea melodica, da un ritmo scintillante, da un’orchestrazione, curata nei minimi particolari, evocatrice a volte di un suggestivo colore esotico.
Il compositore, in parte sull’esempio di Bizet e Massenet, utilizza il colore locale soprattutto per caratterizzare i momenti magici e cerimoniali della vicenda.
Lakmé071lakme02Nel I atto prevale il misticismo.
La barcarola, Duetto dei fiori, tra Lakmé e Mallika è la pagina più famosa dell’opera.
Nel II atto c’è molto colore, coro e balletto.
In questo atto c’è la celebre aria Où va la jeune Hindoue, nota come aria delle campanelle, da sempre considerata un eccellente pezzo per soprano di coloratura; la protagonista si esprime attraverso un canto assai sfumato e tenero, che ben traduce musicalmente l’immagine di una una sacerdotessa indiana immersa in un giardino tropicale.
Nel III atto la musica riserva le pagine più seduttive affidate a Lakmé e all’ ufficiale inglese.
TRAMA
Atto I
Durante il dominio inglese in India, molti induisti vennero obbligati a professare la loro religione in segreto e clandestinità; per cui il bramino Nilakantha, nemico giurato degli inglesi, compie i riti in un tempio nascosto ai margini della giungla.
All’alba, Hadji e Mallika vanno ad aprire la porta agli indù per la preghiera e la benedizione del sacerdote, dopodiché i fedeli escono con raccoglimento.
Nilakantha lascia la figlia Lakmé nella pagoda santa, sotto la sorveglianza dei servitori e va in città per i preparativi della festa del giorno dopo, sarà di ritorno prima della fine del giorno.
Lakmé e la sua serva scendono al fiume a raccogliere fiori e per un bagno; prima di entrare in acqua, la figlia del bramino si toglie i gioielli e li appoggia sulla riva del fiume.
Nel frattempo giunge un gruppetto d’inglesi, composto da Ellen, Rosa, Miss Benson, Gerardo e Frédérick.
Essi vorrebbero entrare nel giardino sacro, ma Miss Benson cerca di dissuaderli; nonostante ciò, i giovani fanno una breccia di passaggio nel recinto per entrare nella proprietà. Frédérick riconosce il tempio del bramino Nilakantha e dichiara che sua figlia Lakmé è considerata una divinità.
Rosa ed Ellen vedono i gioielli e vorrebbero avvicinarsi, ma Miss Benson costringe il gruppetto ad allontanarsi, rimane solo Gerardo che, per accontentare l’amata Ellen, ne disegnerà uno schizzo.
L’ufficiale vede avvicinarsi Lakmé e si nasconde, ella lo scorge e grida di spavento, Mallika accorre, ma viene rimanda indietro dalla figlia del bramino.
Lakmé, seppur impaurita, è incuriosita da quell’uomo in divisa, i due giovani conversano e si innamorano.
All’arrivo del padre Gerardo si allontana.
Hadji mostra al Brahmane il recinto spezzato e Nilakantha giura vendetta.
Atto II
E’ quasi mezzogiorno ed in piazza sta svolgendo il mercato, i commercianti cinesi hanno chiuso gli affari e si apprestano ad andarsene. Ultimato il mercato inizia la festa, tra danze e folla che va ora di qua, ora di là. Tra la gente c’è il gruppetto di inglesi, nella confusione Miss Ellen ed il suo fidanzato si perdono.
Le Bayadères (danzatrici indiane) avanzano seguite della folla.
Nilakantha, travestito da penitente indù, arriva in piazza, fa la questua e la sua ragazza canta le devote leggende che gli indiani amano tanto; Nilakantha incita la figlia a continuare a cantare l’aria delle campanelle, in attesa dell’arrivo dello straniero. Alcuni ufficiali, tra cui Gerardo e Frédérick, ascoltano un po’ discosti. Gerardo si avvicina, Lakmé sviene dall’emozione e l’ufficiale si slancia per sostenerla: Gerardo si è tradito.
La folla, Frédérick e Gerardo si allontanano.
Il bramino ed i cospiratori si radunano. Il sacerdote spiega come, quando il corteo seguirà la Dea, egli designerà Gerardo con lo sguardo, in quel frangente l’ufficiale sarà separato dai suoi amici e colpito a morte da lui stesso.
Tutti si separano e restano Lakmé con Hadji.
Gerardo torna ad avvicinarsi e Lakmé lo invita inutilmente a nascondersi nella foresta in una piccola capanna di bambù.
Portano la dea Dourga, la dea dalle dieci braccia, i Bramini cantando si dirigono verso la Pagoda assieme ai Bayadères e vi entrano. Al termine della funzione, la processione esce e Nilakantha indica Gerardo ai cospiratori, compiuta l’azione, credendo di averlo ucciso, tutti si dileguano, accorre Lalmé e constata che Gerardo è solamente ferito.
Atto III
Hadji ha trasportato Gerardo nella capanna segreta della foresta.
Gerardo, che è curato amorevolmente da Lamé, si sveglia. L’innamorata gli spiega cosa è successo e lo avverte che andrà alla sorgente santa, per cogliere l’acqua sacra che benedirà la loro unione per sempre.
Mentre ella si reca alla fonte, sopraggiunge Frédérick che camminando sopra le alte felci sgualcite dal passaggio dell’amico, ha raggiunto il luogo segreto. Frédérick invita l’amico a fuggire, perché nel giro di un’ora il reggimento partirà, Gerardo tentenna ma alla fine conferma che andrà con i militari.
Al suo ritorno Lakmé si accorge che l’atteggiamento di Gerardo è cambiato, al canto dei soldati egli si distrae ed ella capisce che l’innamorato vuole abbandonarla.
La giovane va a cogliere un fiore di Datura velenoso e di nascosto da Gerardo lo mastica.
Entrambi bevono dalla coppa e giurano amore eterno, nel frattempo il veleno comincia a fare effetto.
Giunge Nilakantha che riconosce il soldato, il quale lo invita ad ucciderlo, ma la figlia dichiara che hanno bevuto tutti e due l’acqua che consacra eterno amore ed egli è protetto per sempre.
Lakmé muore.

TERRE di GIUSEPPE VERDI

Nascita
Giuseppe Fortunino Francesco nasce a Roncole di Busseto, nel Ducato di Parma, il 10 ottobre 1813 da Luigia Uttini e Carlo Verdi. Il padre gestisce un’osteria con annessa bottega di generi vari e lavora i propri campi; la madre è filatrice. La famiglia seppur modesta, non è analfabeta, spesso i locandieri leggono le lettere a chi non era in grado di farlo.
Casa NataleCasa natale: sulla facciata della casa una lapide del 1872 ricorda che i proprietari, i marchesi Pallavicino vollero che la dimora rimanesse com’era allora.
Infanzia
Giuseppe fin da bambino prende lezioni di musica dall’organista della chiesa di San Michele, Pietro Baistrocchi, esercitandosi su una vecchia spinetta che gli ha regalato il padre; inoltre fa pratica nella chiesa di Busseto.
Gli studi
Antonio Barezzi, droghiere benestante di Busseto e grande appassionato di musica, accoglie Verdi, all’età di 12 anni, nella propria casa e gli paga gli studi. Il giovane frequenta il ginnasio, studia musica con il maestro Ferdinando Provesi, direttore della Società Filarmonica e latino con il canonico Seletti. La prima esibizione pubblica del giovane, risale al febbraio 1830, nel Salone della casa sede della Filarmonica Bussetana.
Casa BarezziMuseo Casa Barezzi: qui tutto parla del compositore: il pianoforte, il ritratto di Antonio Barezzi e quello a carboncino del giovane Verdi, le lettere autografe, ecc.
Nel 1831, aiutato da Barezzi, decide di iscriversi al Conservatorio di Milano, ma non riesce a superare l’esame di ammissione per “scorretta posizione della mano nel suonare e per raggiunti limiti di età”. Nel 1832 grazie ad una borsa di studio del Monte di Pietà di Busseto e sempre con l’aiuto economico di Barezzi, si trasferisce a Milano, dove prende lezioni private dal cembalista Vincenzo Lavigna.
Gli inizi della carriera
Nel 1836 rientra a Busseto da vincitore del concorso per Maestro di musica del Comune, lo stesso anno sposa la figlia del suo benefattore, Margherita Barezzi, da cui ha due figli: Virginia e Icilio. Nel 1839 lascia Busseto, il posto di maestro, il mondo che lo ha visto crescere, e si trasferisce con la famiglia a Milano; lo stesso anno viene rappresentata al Teatro alla Scala la sua prima opera, Oberto Conte di S. Bonifacio, che riscuote un discreto successo. Nel 1840 muoiono la moglie ed i figli; in mezzo a queste angosce il Maestro porta a termine un’opera buffa: Un giorno di regno, che si rivela un clamoroso fiasco. Verdi decide di non comporre più musica.
Gli anni del successo
Nel 1842, la lettura del libretto di Solera: Nabucco, consegnatoli da Bartolomeo Merelli, impresario della Scala, gli fa cambiare idea. Verdi in pochissimo tempo compone l’opera ed è un trionfo. Sempre in quel 1842 Verdi conosce Giuseppina Strepponi, che sarebbe diventata sua compagna e poi sua seconda moglie.
Dal 1842 al 1848 compone a ritmi serratissimi:

  • I Lombardi alla Prima Crociata (Teatro alla Scala 1843, libretto di Solera), censurato dal governo austriaco poiché, con il Nabucco, era stato rivisitato in chiave patriottica dagli italiani;
  • Ernani (Teatro La Fenice 1844, libretto di Piave, dal dramma di Victor Hugo);
  • I due Foscari (Teatro Argentina di Roma 1844, libretto di Piave, tratto da un dramma di Lord Byron);
  • Giovanna d’Arco (Teatro alla Scala 1845, libretto di Solera, tratto da un dramma di Schiller);
  • Alzira (Teatro San Carlo 1845, libretto di Cammarano, tratto da Voltaire. Opera non particolarmente riuscita);
  • Attila (Teatro La Fenice 1846, libretto di Solera, completato da Piave e da Andrea Maffei);
  • Macbeth (Teatro della Pergola 1847, libretto di Piave);
  • I Masnadieri (Teatro Her Majesty di Londra 1847, libretto di Maffei, dal dramma di Schiller);
  • Jérusalem (L’Opéra di Parigi 1847, adattamento dei I Lombardi su libretto di Gustav Vaëz e Alphonse Royer)
  • Il corsaro (Teatro Grande di Trieste 1848, libretto di Piave, tratto dal dramma di Byron);
  • La battaglia di Legnano (Teatro Argentina di Roma 1849, libretto di Cammarano);
  • Luisa Miller (Teatro San Carlo 1849, libretto di Cammarano, tratto dal dramma di Schiller );
  • Stiffelio (Teatro Grande di Trieste 1850, libretto di Piave, tratto da Le Pasteur di Souvestre e di Bourgeoi).

Dopo la prima esecuzione di Giovanna D’Arco (1845), Merelli chiede a Verdi di rivedere l’Ernani per la ripresa della stagione successiva; irritato dal modo con cui l’impresario gestisce il teatro, Verdi decise di troncare i rapporti con la Scala; quindi si stabilisce a Parigi. Solamente nel 1869, Verdi torna alla Scala con La forza del destino.
Per l’Opéra trasforma I lombardi in  Jerusalem (1847). Solo nel 1849 torna a Busseto, scandalizzando tutti, insieme a Giuseppina. Nel maggio 1848 il Maestro acquista a Villanova d’Arda nel piacentino un podere, comprensivo di una costruzione che viene ristrutturata; nel 1851 villa Sant’Agata è pronta. In questa abitazione il Maestro assieme alla moglie vi passa tutta la vita, a parte i soggiorni parigini e gli inverni a Genova, occupandosi direttamente della conduzione del fondo.
Villa VerdiVilla Verdi: la proprietà è composta da un corpo centrale, più le due ali con terrazza, nel retro le serre, la cappella, le rimesse. Essa è circonda la villa un vasto parco ricco d’alberi che comprende pure la ghiacciaia. Il mobilio delle sale a pian terreno è originale.
In questi anni Verdi scrive la trilogia popolare:

  • Rigoletto (Teatro La Fenice 1851, libretto di Piave, tratto da Victor Hugo );
  • Il Trovatore (Teatro Apollo di Roma 1853, libretto di Cammarano);
  • La Traviata (Teatro La Fenice 1853, libretto di Piave)

Nel 1855 Eugène Scribe, all’epoca librettista dell’Opéra di Parigi, propone al compositore un testo in francese per un’opera da rappresentare nella Ville Lumière, così nascono Les vepres siciliennes, pochi mesi più tardi è pronta la versione italiana dell’opera: I vespri siciliani.
Il Simon Boccanegra (Teatro La Fenice 1857, libretto di Piave e Boito) riceve una scarsa affermazione, mentre Un ballo in maschera (Teatro Apollo di Roma 1859, libretto di Somma) riscuote un discreto successo.
Verdi e Giuseppina si sposano a Collonges-sous-Salève in Savoia nel 1859.
Nel 1861 Verdi viene eletto deputato del primo Parlamento italiano e nel 1874 è nominato senatore.
TeatroTeatro: nel 1856 il Comune acquista la Rocca per costruirvi un nuovo teatro dedicato a Verdi completato nel 1868, nonostante il parere contrario del Maestro. Così all’inaugurazione del 15 agosto 1868, egli non è presente e non ci mette mai piede, pur avendo offerto la notevole somma di £. 10.000 per la sua costruzione e pur possedendovi un palco. In precedenza esisteva un altro teatro nel medesimo luogo, dove Verdi si era esibito in gioventù, dirigendo una sinfonia per il Barbiere di Siviglia di Rossini. Il teatro è ubicato nella Rocca (già Castello dei Pallavicino), è stato progettato dall’architetto Pier Luigi Montecchini, è dotato di ogni più funzionale struttura ed ha una capienza di 300 persone.
In questi anni compone:

  • La forza del destino (Teatro Imperiale di Pietroburgo 1862, libretto di Piave);
  • Macbeth (riscrittura per l’Opéra 1865, libretto di Piave);
  • Don Carlo (Teatro de l’Operà di Parigi 1867, libretto di Mèry e Du Locle );
  • Aida (Teatro dell’Opera del Cairo 1871, libretto di Ghislanzoni).

La  Messa da requiem è scritta e pensata nel 1873 come celebrazione per la morte di Alessandro Manzoni.
Nel 1869 il Maestro compone la seconda versione de  La forza del destino.
Nel 1880 compra il terreno per costruire la Casa di riposo per musicisti.
Nel 1887, all’età di ottant’anni, scrive Otello, libretto di Boito; nel 1893 dà l’addio al teatro con la sua unica opera comica, il Falstaff, libretto di Boito. Verdi muore il 27 gennaio 1901 al “Grand Hotel et De Milan”, in un appartamento dove era solito alloggiare durante l’inverno ed è sepolto nella Casa di Riposo dei Musicisti di Milano.
Stanza Hotel MilanoLa stanzetta che custodisce il letto proveniente dal Grand Hotel et de Milan in cui Verdi morì.
Completa la visita:
Museo VerdiMuseo Nazionale Giuseppe Verdi Villa Pallavicino: la villa ha una pianta a cinque moduli a scacchiera che ricordano lo stemma dei Signori di Busseto ed è circondata da un ampio giardino. Essa venne iniziata nel secondo decennio del Cinquecento e fu pensata come residenza estiva, in seguito fu ampliata e modificata nel tardo Seicento e nel Settecento, fin quasi all’Ottocento. Al suo interno il visitatore percorre un itinerario ideato dallo scenografo e regista Pier Luigi Pizzi. Le 27 opere di Verdi sono rappresentate, lungo un percorso storico con riproduzioni delle scenografie originali e ricostruzione di ambienti ottocenteschi.
Busseto