Danni delle fondazioni degli EDIFICI a VENEZIA

CAUSE
Le cause dei danni delle fondazioni degli edifici a Venezia, sono ascrivibili alle seguenti categorie:

  1. danni connessi al comportamento del sottosuolo. Il cedimento delle fondazioni è il principale fenomeno da monitorare negli edifici veneziani.
  2. azione disgregatrice dell’acqua salmastra, sia nel suo comportamento chimico, sia del moto ondoso e delle maree.

TEMPI
I cedimenti possono essere:

  • a lungo termine, (intervallo temporale pari alla vita utile dell’edificio). Infatti la presenza di tipologie di fondazione diverse all’interno dello stesso fabbricato, possono sviluppare spostamenti diversificati nell’edificio e diverso affondamento
  • a breve termine, già nella fase costruttiva si possono manifestare i primi spostamenti della base delle fondazioni, dovuti ad una parziale consolidazione degli strati argillosi, causata dalla lenta applicazione dei carichi. Si possono avere anche cedimenti molto consistenti con conseguente fessurazione della muratura.

TIPOLOGIE LESIONI
Le tipologie delle lesioni sono:

  1. lesioni ad arco all’interno della muratura che si innescano prevalentemente in corrispondenza delle aperture. Le due facciate principali dell’edificio sono di peso contenuto e gravano in maniera trascurabile sulle rispettive fondazioni, mentre i muri longitudinali, di lunghezza ragguardevole, possono provocare cedimenti non uniformi lungo tutto il loro sviluppo. Il tutto provoca un pericoloso cedimento differenziale della struttura
  2. lesioni diffuse in tutte le murature per cedimento delle palificate dovuto al moto ondoso
  3. lesione a taglio delle pareti di controvento causate dal cedimento differenziale che interessa le diverse fondazioni utilizzate per muri esterni ed interni. L’affondamento maggiore riguarda la porzione centrale dell’edificio e porta alla formazione di importanti lesioni diagonali nelle pareti e a fenomeni di instabilità dell’equilibrio delle pareti esterne portanti.

    Figura delle tipologia delle lesioni

Cedimento differenziale dei muriPresenza delle acque lagunari
Gli edifici subiscono l’azione disgregatrice delle acque dei canali e dei liquami di rifiuto.
Le principali cause di degrado possono essere raggruppate in 5 categorie:

  • azione di erosione dovuta all’elevata presenza di cloruri in soluzione che a contatto con materiali deperibili (malta), ne provocano il deterioramento e la dissoluzione
  • azione del moto ondoso legato alla circolazione delle imbarcazioni nei canali. Le onde agiscono direttamente al degrado, attraverso la loro azione meccanica
  • fenomeni di asportazione di materiali dovuta alla presenza di cunicoli fognari o di scarico all’interno dei quali si creano fenomeni di pressione e depressione delle acque in moto
  • azione erosiva dovuta all’alternarsi del livello di marea con zone di emersione e sommersione che si alternano
  • aumento dei fondali connesso ai fenomeni erosivi del moto delle acque o ai lavori di scavo eseguiti sui canali.

    Riassunto delle forme di dissesto legate alle fondazioni

Progettazione edifici
La parte centrale dell’edificio è maggiormente interessata a danni; per ovviare a questo inconveniente si cerca di rendere indipendenti le diverse parti della struttura, in modo da evitare la formazione di rotture a taglio dei muri. Nello schema dell’edificio si prevede un grande vuoto centrale e muri verticali portanti connessi agli orizzontali con legame a cerniera (telaio labile), che si adattano alle mutazioni geotecniche del sottosuolo.
Il ricorso a catene e piastre metalliche, è finalizzato al conferimento di un comportamento scatolare delle pareti parallele, in unione con i solai adiacenti, il tutto consente di ottenere una migliore riposta alle azioni orizzontali statiche e dinamiche.
Principali soluzioni di consolidamento antiche
Anticamente le tecniche più diffuse di consolidamento statico degli edifici erano:

  • Il rafforzamento della struttura esistente tramite l’accostamento di un muro di calcestruzzo, pietra o laterizio (talora munito di sue specifiche fondazioni su pali), reso solidale alla fondazione preesistente o accostato
  • Costruzione di nuove palificate inserite su strati del sottosuolo più resistenti. Le nuove palificate erano realizzate in asse con le murature esistenti, una internamente e l’altra esternamente e rese interconnesse tramite un getto di calcestruzzo. Tale tecnica risultava essere molto onerosa dal momento che si rendeva necessario abbattere parte del solaio superiore per poter permettere l’ingresso delle macchine battipalo ed inoltre si rischiava di provocare eccessive sollecitazioni sulla muratura a causa delle vibrazioni
  • Utilizzo di micropali. Questa tecnica consentiva un consolidamento strutturale per eccellenza, sia per la rapidità costruttiva, sia per la relativa economicità. Tuttavia esisteva il pericolo che il consolidamento non fosse efficiente nel lungo periodo.

    micropali trivellati

Principali soluzioni di consolidamento attuali
Attualmente le principali tecnologie a cui si ricorre possono essere raggruppate in cinque categorie:

  1. realizzazione di un cordolo in calcestruzzo armato. Questa soluzione è particolarmente adatta per gli edifici con le murature perimetrali che si affacciano sui canali.
    L’operazione prevede la realizzazione di un massiccio muro di calcestruzzo interrato su una propria palificata, si deve porre attenzione alla realizzazione di un adeguato collegamento con la muratura esistente, in modo da ottenere un comportamento solidale dell’intera struttura.
    Per quanto riguarda la protezione dall’aggressività dell’acqua di mare, la miscela di calcestruzzo con additivi deve essere tale da conferire una adeguata impermeabilità e resistenza all’attacco nocivo della salsedine. Inoltre per garantire una maggiore protezione si inserisce un rivestimento in pietra d’Istria nelle parti direttamente a contatto con l’acqua lagunare.
  2. intervento di scuci-cuci delle parti più danneggiate delle fondazioni con sostituzione dei pezzi deteriorati con elementi in c.a. o laterizio. L’operazione consiste in una demolizione locale di parti di tessitura muraria e successiva ricostruzione. Tale tecnica viene di norma utilizzata per le strutture in elevazione in laterizio. Una volta sostituita la tessitura muraria, la si lega all’originaria attraverso l’inserimento di appositi cunei infissi a forza. L’intervento consente di conservare la concezione strutturale originaria dell’edificio.
  3. inserimento di una nuova palificata (legno, calcestruzzo o metallica). Essa viene realizzata in calcestruzzo armato, con micropali di diametro limitato ma di profondità più elevate cioè tali da raggiungere strati più consistenti del terreno. Di norma i pali vengono inseriti rispetto al profilo murario sovrastante, con una certa inclinazione convergente verso l’asse, per poter così assorbire anche sollecitazioni orizzontali.
    Qualora non sia possibile intervenire dall’interno, viene realizzata una nuova palificata solo dal lato esterno oppure al di sotto della base fondale. La nuova palificata interna-esterna deve essere poi resa solidale alla fondazione esistente tramite un cordolo o una trave in c.a. alloggiata sotto il piede della muratura esistente.
    Un’alternativa ai pali di legno è la realizzazione di una palificata di elementi tubolari prefabbricati in calcestruzzo, inseriti per mezzo di martinetti idraulici. Quando i manufatti raggiungono la profondità prestabilita, vengono resi solidali attraverso un getto di conglomerato armato che va a riempire le cavità esistenti.
  4. Allargamento del piede fondale. Consiste nella costruzione di due cordoli alla base della fondazione in cemento armato. In questo modo si ottiene un maggior appoggio della fondazione sul terreno. I traversi di collegamento dei due cordoli possono essere collocati alla stessa quota delle travi o ad una quota superiore e permettono di rendere solidale il loro comportamento e di trasferire parte del carico della fondazione esistente. Vengono realizzati attraverso appositi fori praticati all’interno dell’opera di fondazione. Tale soluzione permette scavi limitati in profondità, ma implica la demolizione di porzioni di solaio internamente per permettere l’accesso alla base della fondazione.
  5. Iniezioni di miscele leganti. Gli specifici composti fluidi iniettati all’interno della muratura, conferiscono una maggiore resistenza a taglio e compressione alla muratura. L’operazione consiste nel praticare degli appositi fori (circa 5*m2) leggermente inclinati rispetto all’orizzontale ed in modo che raggiungano una profondità pari a circa 2/3 dello spessore murario. Posizionato all’interno del foro un apposito tubicino di gomma, si procede con l’iniezione a bassa pressione attraverso la canula fino a completa saturazione della zona in prossimità del foro. Successivamente vengono richiusi i tubicini di iniezione e, una volta indurita la malta, si conclude l’intervento con la loro rimozione e ristilatura armata.
  6. Intonaci armati e ristilatura armata
    A questa soluzione si ricorre soprattutto nel caso di pareti contro-canale, in quanto si protegge il muro di sponda e si garantisce una maggiore impermeabilità alle acque in circolo. Il rivestimento viene solitamente realizzato con un intonaco di malte fibrorinforzate con un supporto di collegamento alla muratura esistente costituito da un’armatura metallica.La ristilatura armata consiste nel ripristino dell’integrità dei giunti tra gli elementi resistenti delle fondazioni esistenti. Tale intervento prevede una preventiva scarnitura dei giunti di malta deteriorati, all’interno dei quali vengono successivamente alloggiate delle barre metalliche di diametro ridotto. L’operazione viene infine completata con la saturazione delle fessure attraverso una nuova miscela cementizia.

Riassunto delle tecniche di intervento di consolidamento delle fondazioni a Venezia

Allevamento della VITE

Introduzione
Ogni differente forma di allevamento comporta una diversa gestione della chioma, che a sua volta ha un’azione determinante sulla qualità dell’uva in funzione anche della tipologia di vino che si vuole ottenere.
Altri aspetti da tenere in considerazione sono:

  • scelta della distanza tra le file e sulle file, del portainnesto che influenza il rapporto chioma/radici;
  • il rapporto tra superficie fogliare e peso dell’uva prodotta (un elevato contenuto zuccherino delle bacche è determinato da un elevato rapporto tra superficie fogliare e peso dei frutti);
  • la disposizione del fogliame deve garantire un’adeguata esposizione alla radiazione solare; infatti un eccessivo ombreggiamento causato dal fogliame, si traduce in una scarsa colorazione (nelle uve rosse), un’acidità totale elevata e la presenza di sostanze aromatiche che esaltano in maniera squilibrata il gusto erbaceo dei vini.

L’allevamento a sviluppo verticale assicura, nel caso di orientamento nord – sud, una efficienza foto sintetica migliore nelle prime ore del mattino e del pomeriggio, mentre nelle ore centrali della giornata si hanno le maggiori perdite energetiche.
Tendenze
Le moderne tecniche di coltivazione mirano a differenti punti di sviluppo, in particolare:

  • contenimento dello sviluppo vegetativo dei germogli con la creazione di due fasce ben distinte, una delimitata per la produzione, anche in vista della raccolta meccanica e l’altra per la vegetazione;
  • infittimento degli impianti;
  • disposizione dei filari e forme di allevamento facilmente meccanizzabili.

Vite
Semplificando le parti della vite sono quelle in figura.TIPOLOGIE

  • AlberelloDi origine greca, è caratterizzata da una ridotta espansione, da un’altezza ridotta (40–80 cm), priva di sostegni, ridotta esigenza idrica. Questa tipologia di sistemazione si adatta bene a terreni poco fertili e secchi, consente una elevata densità di impianto, ma la produzione d’uva è limitata a causa del ridotto sviluppo della pianta;
  • Cordone speronato
    Allevamento della vite caratterizzato da un cordone permanente orizzontale di 0,7-1,5m, con vegetazione discendente. L’altezza del fusto è compresa tra 60–100 cm, in esso sono inseriti speroni di 1–3 gemme alla distanza di 30 cm circa l’uno dall’altro.
    Con la potatura invernale si selezionano sul cordone, 5-7 gemme (speroni) che permettono di ottenere altri speroni a 2-3 gemme.
    Questa tipologia di sistemazione che ben si adatta ai terreni asciutti e consente una buona produzione d’uva.
  • GuyotSistema ideato da un viticoltore francese intorno alla metà del XIX° sec. con una ridotta espansione. L’altezza del fusto arriva fino a 100 cm, in esso è inserito un capo a frutto posto in posizione parallela al terreno e dove i germogli fruttiferi vengono legati a fili di sostegno.
    Questa tipologia di sistemazione si adatta a terreni poco fertili e secchi e consente uno sviluppo moderato della vite.
    La potatura di produzione è ottenuta tramite un taglio al passato che asporta il capo del frutto dell’anno precedente, segue il taglio del presente nel quale si sceglie il tralcio sviluppato dallo sperone ed infine il taglio del futuro che consente di tagliare all’altezza di due gemme lo sperone più basso e nel quale si svilupperanno i tralci per la produzione futura;
  • Cordone liberoDeriva dal cordone speronato e di recente introduzione. Un cordone orizzontale speronato posto circa a 1,5 m dal suolo e sostenuto da un unico filo portante di tipo spiralato messo in alto ai pali di sostegno è permanente. Non ci sono i fili di contenimento e ciò determina una ricaduta dei germogli verso il basso per effetto del peso dei grappoli in maturazione. In questa disposizione non c’è molto ombreggiamento eccessivo, per cui si possono restringere le distanze tra le file fino a 1 m e programmare impianti di elevata intensità; ciò consente una facile meccanizzazione con macchine molto strette o scavallatrici;
  • CasarsaSistema di allevamento sviluppato in Friuli e diffuso in tutta Italia, grazie alla sua adattabilità alle differenti condizioni ambientali ed alla facilità di meccanizzazione.
    L’altezza del fusto arriva fino a 1,70 m, in esso è presente un filo portante al quale si lega il cordone permanente.
    La potatura invernale si esegue scegliendo i capi a frutto nei quali verranno lasciati 6 gemme, lasciando tralci corti (i grappoli vicino al cordone permanente sono i più zuccherini). I capi che portano la fruttificazione, sotto il peso della vegetazione e dei grappoli tendono a piegarsi parallelamente al terreno, mentre i germogli portati dagli speroni crescono verticalmente. In questa maniera la zona produttiva, posta sotto il cordone, è separata dalla zona di rinnovo, sostenuta dai fili superiori al cordone permanente;
  • Pergola semplice
    Questa forma è costituita da una serie di pali verticali che sostengono un’impalcatura posizionata orizzontalmente o un tetto inclinato leggermente verso l’alto (20 – 30°). Su tale impalcatura vengono fissati i rami che sostengono i capi a frutto.
    La pergola semplice fa vegetare solo un lato della parete produttiva; viene applicata in collina o in montagna, dove le pendenze piuttosto elevate richiedono una struttura che sfrutti al massimo l’esposizione solare;
  • Pergola doppia
    La pergola doppia fa vegetare entrambi i lati della parete produttiva ed è applicata soprattutto in  pianura, dove gli ampi spazi  non creano ostacoli all’esposizione solare ed alle fasi di lavorazione.
    Il sistema di palificazione è costoso, in quanto è formato da pali di testata (colonne) e pali di calcagno (rompi tratta) sui quali si dispongono dei pali obliqui (listello). Nei listelli si tendono vari fili di ferro, che formano il tetto della pergola, paralleli distanti 0,3 m gli uni dagli altri.
  • LyraQuesta forma assume la classica struttura a Y, con un fusto alto 0,7 m e due cordoni speronati a Y, allevati su due fili paralleli. I due pali di testa incrociati di altezza di 2 m e 1,2 m di larghezza massima, consentono un’abbondante esposizione solare della superficie fogliare. Per contro la meccanizzazione risulta difficile. Le operazioni di potatura sono le stesse che vengono eseguite nel cordone speronato;
  • Tendone
    Sistema di allevamento sviluppato nel Centro – Sud dell’Italia, nel 2° dopoguerra. L’altezza del fusto è di circa 2 m, dalla sua sommità si ramificano generalmente 4 capi a frutto paralleli alla superficie del suolo e sorretti da un’impalcatura di fili e pali disposti a raggiera, con tralci di 2 m circa di lunghezza;
  • I sostegni che sorreggono l’intera struttura del tendone sono classificati in tre tipologie, in base alla funzione che svolgono:
    • Pali ad angolo ai vertici dell’appezzamento;
    • Pali di corona perimetrali;
    • Pali rompi – tratta posti accanto ad ogni vite.

    Il montaggio della struttura del tendone prevede la posa in opera dei 4 pali ad angolo, ancorati con tiranti al terreno, la disposizione del filo di ferro della corona, la sistemazione dei pali rompi tratta e infine la stesura della rete interna. Come si evince è una forma di allevamento molto costosa sia d’installazione che di gestione; inoltre la qualità dell’uva non è elevata a causa della maggiore produttività.

Gestione della CHIOMA
Uno degli scopi di questa operazione è di rendere la gestione del vigneto sostenibile.
Potatura invernale
Questa operazione dovrebbe garantire una crescita vegetativa equilibrata che consenta una piena maturazione dei frutti ed un adeguato mantenimento dello sviluppo della chioma.

  • Nelle viti giovani si esegue la potatura invernale dell’allevamento, con lo scopo di accelerare il più possibile l’entrata nella fase di produzione del vigneto, garantendo il più possibile una crescita bilanciata tra la parte aerea e l’apparato radicale.
  • Dal quarto anno di vita del vigneto si esegue la potatura di produzione che deve consentire l’ottenimento delle migliori uve, per ottenere un vino di elevata qualità.

Potatura estiva o verde
In realtà la potatura invernale non riesce appieno a garantire gli obiettivi di cui sopra e pertanto si devono correggere gli errori di accrescimento della vite.
Le pratiche maggiormente impiegate nella potatura estiva sono la:

  • Spollonatura, consiste nella rimozione dei polloni (germogli della pianta che non produrranno uva) che si originano direttamente dal legno vecchio verticale. Queste gemme sottraggono energie a quelli produttivi e che possono ridurre l’aerazione dei grappoli.
  • Scacchiatura, operazione che completa la spollonatura e consiste nell’eliminazione dei germogli in eccesso ed è finalizzata all’ottenimento di una chioma non compatta, che consenta il passaggio dell’aria e la penetrazione della luce.
  • Legatura, il capo a frutto viene annodato a uno dei fili orizzontali sostenuti dal sistema di palificazione, in genere quello più vicino al terreno.
    Questa operazione ha la funzione di rendere il più ordinato lo sviluppo dei germogli, permette una più omogenea distribuzione della linfa a tutti i germogli.
  • Cimatura dei germogli, si taglia la parte terminale dei tralci. Questo lavoro deve essere terminato entro la fine del mese di giugno, per consentire alla vite di sviluppare i nuovi germogli.
  • Defogliazione, consiste nell’asportazione delle foglie che coprono i grappoli, al fine di migliorare l’arieggiamento e l’insolazione.

FERTILIZZAZIONE
Al momento dell’apertura dei germogli, l’assorbimento dei nutrienti è modesto, e il loro contenuto è assicurato dalle riserve nutritive accumulate nel corso della stagione invernale; poi aumenta l’intensità di assorbimento degli elementi nutritivi dalle radici.
Quando inizia la fase produttiva, si riduce l’assorbimento delle sostanze nutritive dal terreno ed il fabbisogno del grappolo (principalmente potassio e azoto), viene assicurato dal ricircolo interno della pianta.
Si possono prendere in considerazione tre differenti tipologie di concimazione di:

  • Fondo
    Viene praticata prima dell’aratura e serve per dotare gli strati profondi del terreno di sostanza organica (potassio e fosforo). Nella determinazione del quantitativo da somministrare bisogna considerare differenti fattori:

    • profondità del suolo che può essere esplorata dall’apparato radicale;
    • pH del suolo;
    • sensibilità del terreno alla siccità;
    • coltivazioni precedenti.

    L’azoto tende a spostarsi dagli strati superficiali a quelli più profondi del suolo, fenomeno più evidente nei terreni sciolti.
    Le dosi dei concimi vengono stabilite in base ai risultati delle analisi del suolo.

  • Impianti giovani
    Concimazione praticata per favorire l’attecchimento e la ripresa delle viti giovani; la distribuzione dei concimi è localizzata in prossimità delle barbatelle o delle giovani piante.
  • Produzione
    Può essere praticata sia con concimi organici, sia minerali, sia organominerali.

Le dosi, in tutti i casi, vanno calibrate in base alle potenzialità produttive dell’impianto.
Gestione IDRICA
L’acqua è l’elemento vitale per la pianta.
La tecnica del deficit idrico controllato ha lo scopo di ottimizzare l’efficienza dell’uso dell’acqua e migliorare la qualità dell’uva.
I metodi di irrigazione adottati sono quelli localizzati a goccia o subirrigazione.L’assenza di stress idrico può provocare una eccesiva attività vegetativa, a sfavore di quella produttiva ed un peggioramento della qualità e dello stato sanitario dell’uva.Avversità della vite
Parassiti animali
Tra le specie di acari ed insetti più dannosi per la vite sono da rilevare due tipologie di tignole della vite, ossia la Lobesia botrana e la Eupoecilla ambiguella.
Per quanto riguarda le cocciniglie, la loro dannosità è aumentata nel tempo.
L’aumentare di insetti nocivi ha comportato l’aumento dei trattamenti insetticidi ed un conseguente sviluppo delle popolazioni degli acari come effetto collaterale.

Le FUNI

ELEMENTI COSTITUTIVI
Fune: è l’insieme di più trefoli avvolti attorno ad un’anima tessile o metallica mediante l’operazione di cordatura.
Prima di questa operazione i trefoli sono sottoposti a preformazione con lo scopo di conferire loro la forma elicoidale finale della fune.
Con la preformazione si acquisiscono i seguenti vantaggi:

  • quando la fune viene tagliata i trefoli non si svolgono e non servono saldature
  • migliora il comportamento a fatica della fune
  • i fili, in caso di rottura, mantengono la loro posizione

Filo: è l’elemento costitutivo della fune di acciaio ed è ricavato mediante trafilatura dalla vergella (semilavorato siderurgico costituito da una barra di acciaio, di solito a sezione circolare, avente diametro > 5 mm, avvolta in matasse, ottenuta per laminatura a caldo).
Trefolo: è l’insieme di più fili disposti ad elica attorno ad un’anima centrale costituita da un filo metallico o di derivazione tessile, naturale o sintetica. Vengono assemblati sulla macchina cordatrice partendo dalle bobine di filo.
In un trefolo si ha:

  • passo dei fili: combinazione dell’avanzamento del trefolo finito con la rotazione del castello porta bobine
  • senso di avvolgimento del filo: il senso di rotazione durante l’avvolgimento del trefolo

La costruzione del trefolo può essere realizzata mediante una o più operazioni.
Nel primo caso i fili dei vari strati sono concordi e si appoggiano lungo le linee. Nel secondo i fili dei diversi strati si incrociano tra di loro.
Anima: è la parte centrale della fune che può essere di natura metallica (acciaio) o tessile (canapa, juta, cotone) o sintetica (polietilene, polipropilene)
L’anima ha i seguenti compiti:

  • sostenere i trefoli nella loro corretta configurazione geometrica assegnata
  • fornire alla funi la flessibilità necessaria per l’ avvolgimento e svolgimento sulle pulegge di movimento
  • Mantenere all’interno della fune il lubrificante (grasso) necessario per ridurre lo strisciamento tra i fili.

DEFINIZIONI
Diametro e tolleranze: il diametro normale della fune è il diametro del cerchio circoscritto alla sezione normale della fune.
La misura del diametro si effettua in due punti distanti almeno un metro; in ciascun punto si misurano due diametri a 90° uno dall’altro; la media dei quattro valori rilevati si assume come diametro effettivo.
La misurazione viene fatta normalmente su un tratto di fune diritto non sottoposto ad alcuna trazione.
Al momento della costruzione il diametro nominale può essere maggiore di circa il 4-5% il diametro nominale, esso si ridurrà con la messa in esercizio della fune stessa del 3% circa.
Passo di cordatura: lunghezza misurata sull’asse del trefolo in corrispondenza di una spira completa del filo
Angolo di avvolgimento: angolo formato tra l’asse della fune e l’asse del trefolo (angolo di avvolgimento del trefolo nella fune) o come l’angolo formato tra l’asse del filo e quello del trefolo (angolo di avvolgimento del filo nel trefolo)
Senso di avvolgimento: è riferito ai fili esterni rispetto ai trefoli (o funi spiroidali) e dei trefoli rispetto alla fune.
Esso può essere:
Z : indica il senso di avvolgimento destro. Tenuta la fune verticale l’osservatore vede le spire nella direzione del tratto mediano della lettera Z.
S : indica il senso di avvolgimento sinistro. Tenuta la fune verticale l’osservatore vede le spire nella direzione del tratto mediano della lettera S.
Nel caso di funi a trefoli si impiegano due lettere con altezza di carattere differente o con il segno /. La prima indica il senso di avvolgimento dei fili elementari esterni nei trefoli, la seconda indica il senso di avvolgimento trefoli.
Concordi: Z/Z (zZ) S/S (sS) dette funi ad avvolgimento parallelo. Tendono a svolgersi, ma hanno buona flessibilità e minore usura a causa della minore pressione specifica di contatto tra i diversi fili, per cui maggior durata. Applicate nelle trasmissioni ad anello chiuso (teleferiche).
Contrari: Z/S (zS) S/Z (sZ) dette funi ad avvolgimento crociato. Applicate nel caso in cui la fune tende a svolgersi: meccanismi di sollevamento.
Sezione metallica
: è data dalla somma delle sezioni trasversali rette di tutti i fili componenti la fune misurata in mm2. Gli elementi per il calcolo della sezione vengono forniti dal produttore di funi stesso.
Sezione lorda e sezione resistente: poniamo δ diametro del filo di diametro nominale della fune (diametro della circonferenza circoscritta) e k numero di fili si pone
Ar = area della sezione resistente
Al = area della sezione lorda
mediamente si ha: Ar ≈ 0,43 Al
DESIGNAZIONE
Essa designazione viene fatta con dei numeri (indicanti il numero dei fili) e della lettere che designano tipo anima, tipo fili ecc.
ANIMA: in relazione al materiale di cui essa è formata si hanno i seguenti simboli:
FC = fibre tessili naturali o artificiali
NF = fibre tessili naturali
SF = fibre tessili artificiali
WS = di acciaio costituita da un trefolo
WR = di acciaio costituita da una fune
FILI: dipende dal tipo di sezione, se la sezione è circolare non si riporta nessun simbolo:
V = triangolare
I = triangolare
T = trapezoidale
Q = ovale
H = a doppia gola alternati con fili tondi
Z = sagomati a Z
TREFOLI: dipendono dal tipo di sezione, per la sezione tonda non si usa nessun simbolo:
V = triangolare
I = piatta
Q = ovale
STATO SUPERFICIALE
NAT
= fili lucidi
ZAB
= fili zincati di classe AB
Designazione COMPLETA
Oltre al numero di fili si deve indicare la formazione della fune: cioè la disposizione dei fili elementari e dei trefoli ed il senso di avvolgimento.
Es. 12+6+1 Z = fune spiroidale 2 strati ed anima destra
6(12+6+1) + FC S/Z
= 6 trefoli di 19 fili e anima in fibra trefoli sx con fili a dx
Oltre a questo si deve indicare d diametro nominale, lo stato superficiale e la classe di resistenza dei fili elementari.
Es. 14 NAT 6*7 + FC ZZ 1770 d=14mm, 6(6+1), dx, 1770 N/mm2
TIPOLOGIE
Fune spiroidale
È costituita unicamente da fili di acciaio non legato.
L’ anima metallica non conferisce grande flessibilità alla fune e quindi sono impiegate per supporti o ancoraggi tra elementi statici.
Nella designazione si riportano il numero di fili presenti dall’esterno verso il centro.
Designazione completa   12+6+1 = 19
Designazione abbreviata  1 * 19
Fune a trefoli
È costituita da uno o più strati di trefoli con anima centrale in fibra tessile o sintetica o metallica. Nella designazione si indica in successione: il numero dei trefoli componenti la fune, il numero dei fili componenti ciascun strato del trefolo, la composizione dell’anima.
La sollecitazione di flessione è prevalente (gru, verricelli, teleferiche, …)
Designazione completa    6(6+1) + NF
Designazione abbreviata  6 * 7 + NF
fune composta da 6 trefoli con anima in fibra tessile, ogni trefolo è composta da 6 fili esterni ed 1 interno.
Designazione completa   6(6+1) + WS (6+1)
Designazione abbreviata  6 * 7 + WS (6+1)
fune composta da 6 trefoli con un’anima metallica.
Designazione completa    6(15+9+SF) + SF
Designazione abbreviata  6*(24+SF) + NF
fune composta da 6 trefoli ed un’anima in fibra tessile, ogni trefolo è composta da 15 esterni, 9 fili interni ed un’anima in fibra tessile.
Fune S1 PPC: fune a 6 trefoli, strato esterno 9 fili, strato interno 9 fili, ciascuno con filo centrale. Fili totali 114.
Designazione completa      6 (9-9-1) – PPC
Designazione abbreviata    6x19S – PPC
Fune S11: fune a 6 trefoli, strato esterno 16 fili, strato intermedio 16 fili, strato interno 8 fili, ciascuno con filo centrale.
Fili totali 246.
Designazione completa     6 (16-8/8-8-1) – IWRC (7×7)
Designazione abbreviata   6×41 WS – IWRC
IWRC
indica che l’anima è costituita da acciaio.
Funi compatte
In queste funi oltre al filo anche il trefolo viene trafilato. Ne consegue un appiattimento dei fili esterni che migliorano il riempimento della fune e le sue prestazioni.
La compattazione dei trefoli è un processo di deformazione a freddo, realizzato riducendone il diametro per mezzo del passaggio attraverso una filiera o una coppia di rulli.
Il processo di compattazione produce:

  • un aumento della sezione metallica del trefolo, migliorando la capacità di carico, la duttilità e la resistenza a fatica del materiale
  • crea zone di contatto estese tra i fili, migliorando le prestazioni nelle pressioni laterali o abrasioni
  • ottiene una superficie del trefolo più liscia, regolare e meno permeabile
  • rende più uniforme la ripartizione delle tensioni sui fili
  • aumenta la stabilità dimensionale del trefolo rispetto alle forze trasversali, migliorandola prestazioni nelle sollecitazioni composte
  • dà la possibilità di operare con maggiore lunghezza del passo e quindi di ottenere un maggiore modulo di elasticità.

Funi a matrice metallica (funi Ercole)
Sono composte unicamente da fili a sezione circolare.
Un nucleo di tipo spiroidale realizzato con fili ad avvolgimento incrociato è avvolto ad uno strato di trefoli.
Sulla sezione di una fune Ercole la tensione risulta maggiore per i fili esterni del nucleo spiroidale, a causa della pressione tra i trefoli ed il nucleo e la rispettiva differenza di modulo elastico tra di essi.
Funi con anima metallica plastificata
Sono composte da uno strato di trefoli (esterni) avvolto su una anima metallica rivestita da una guaina plastica.
La plastificazione assolve alle seguenti funzioni:

  • creare un giunto meccanico che fissa le posizioni reciproche dei componenti della fune consentendone però la necessaria libertà di movimento
  • contribuire alla riduzione di fenomeni di corrosione interna perché riduce la permeabilità della fune agli agenti inquinanti
  • riempire lo spazio libero tra i trefoli esterni.

Funi chiuse
Sono costituite da un nucleo spiroidale di fili tondi in più manti con avvolgimento incrociato e uno o più manti di fili sagomati a Z anche essi ad avvolgimento incrociato. Questo avvolgimento incrociato conferisce alla fune la proprietà di anti svolgimento.
I vantaggi sono:

  • elevato coefficiente di riempimento che permette un carico resistente più elevato
  • superficie esterna cilindrica che le fa preferire ad altre tipologie quando la fune deve scorrere tra pulegge o per esempio nei rulli di un carrello di funivia
  • protezione elevata del nucleo spiroidale alla corrosione

Gli svantaggi sono:

  • poca flessibilità che ne rende difficoltoso l’avvolgimento
  • poca resistenza a fatica generata dalla difficoltà ai piegamenti a cui sono sottoposte

Queste funi vengono utilizzate anche nel campo del trasporto di persone, per cui le norme impongono rapporti di avvolgimento maggiori per aumentare la sicurezza d’esercizio.

La CAPRIATA

La capriata è un elemento architettonico portante di coperture di edifici di forma triangolare, tradizionalmente realizzata in legno.
ELEMENTI

  • Puntoni: travi inclinate che determinano la pendenza del tetto.
  • Catena: elemento orizzontale che costituisce la base del triangolo e che supporta sforzi di trazione che altrimenti andrebbero a gravare, sotto forma di forza orizzontale sul punto di appoggio dei puntoni. Essa ha la funzione di annullare le forze divaricanti che agiscono sui puntoni. L’elemento è il più lungo della struttura e normalmente è formato da un’unica trave.
  • Monaco od ometto: elemento verticale inserito tra la sommità dei due puntoni e la catena. Nelle capriate in legno il monaco viene collegato alla catena con dei ferri ad U o delle cravatte o staffe collegate al monaco ed alla catena, ma senza una connessione con quest’ultima.
    In tal modo il monaco migliora la connessione con i puntoni, mantiene complanari le parti a esso collegate e limita la flessione della catena.
    Il nome deriva dal fatto che è un elemento che regola e garantisce silenziosamente il buon andamento di tutto, come fanno i monaci con la preghiera e il loro lavoro.
  • Saette o saettoni: sono aste inclinate opposte a quella dei puntoni, inserite tra l’estremo inferiore del monaco e circa la mezzeria dei puntoni. Esse limitano l’inflessione dei puntoni stessi, scaricando sul monaco la forza di compressione a cui sono sottoposte e provocando la trazione dell’ometto; di conseguenza la capriata diventa più rigida e ciò consente una maggiore ampiezza della capriata.
  • Controcatena: presente solo in capriate di grandi dimensioni, collega orizzontalmente i puntoni in punti intermedi e limita la lunghezza di libera inflessione di questi. 
  • Sottocatena o sottopuntone: eventuali travi di rinforzo poste a contatto al di sotto o al di sopra della catena o dei puntoni.
  • Fasciature, cerchiature, staffature, bullonature garantiscono un più efficace trasferimento degli sforzi fra i profili, completando anche l’azione degli eventuali intagli e sagomature.

TIPOLOGIESemplice
Luci max 6-7 m, la catena tende a flettersi nella mezzeria.Con monaco
Per ovviare alla flessione della catena nella capriata all’italiana è stato introdotto il monaco che spezza in due la catena.Con saettoni
Luci max 10-12 mComposta o a tre monaci
Una controcatena e due sottopuntoni consentono di superare luci di 16-18 m
Con saettoni anche luci di 24 -26 mPalladiana
Il monaco non è staccato dalla catena e ci sono appoggi intermediInglese
Conveniente fino a 25 mEssa è una travatura reticolare costituita da un insieme di aste collegate fra loro nei nodi in modo che il complesso risulti indeformabile .STATICA
Sforzi
La capriata grazie alla sua struttura triangolare nella quale l’elemento orizzontale (catena) compensa le spinte di quelli inclinati (puntoni) annulla le spinte orizzontali.
Gli sforzi sono i seguenti:

  • puntoni, sollecitati a presso-flessione
  • catena, trasferisce il peso dell’intera struttura sulle pareti su cui appoggia, viene sollecitata a trazione
  • monaco, soggetto a trazione
  • saette, realizzano un appoggio intermedio per i puntoni, riducendo l’inflessione e scaricando sul monaco la forza di compressione a cui sono sottoposte
  • controcatena, ha un ruolo di rinforzo, poiché assorbe le azioni dei puntoni di lunghezza elevata

Nodi
Nelle capriate i puntoni e la catena vengono chiusi agli angoli da incastri realizzati con intagli e rinforzati da più staffe in ferro che le tengono unite e ferme.
L’intersezione degli assi del puntone, della catena e del muro devono incontrarsi in un punto, poiché i disassamenti danno luogo a momenti flettenti.Tali collegamenti sono tutti considerati cerniere, ciò consente la loro rotazione attorno ad un asse passante per il loro punto di intersezione e la conseguente inflessione delle travi; si evita di incastrare la catena, perché i puntoni scaricherebbero la componente orizzontale della forza inclinata sull’appoggio, mentre le capriate trasmettono sui muri di appoggio solo carichi verticali.Le strutture metalliche vengono inserite in un secondo momento.Appoggio
Esso può essere realizzato mediante una piastra metallica o una pietra che ripartisce le forze sul legno, oppure nel caso di appoggio su muratura, mediante un supporto in legno detto dormiente che evita il contatto diretto tra il legno ed un materiale più duro.
L’appoggio deve essere inoltre tale da non vincolare orizzontalmente la catena, perché in questo caso la catena non andrebbe in trazione e i puntoni scaricherebbero la componente orizzontale della forza inclinata sull’appoggio.

SISTEMAZIONI FLUVIALI a monte

Azioni strutturali sulla rete idrografica
Si possono suddividere gli interventi geograficamente:

  1. opere sui corsi d’acqua montani o collinari: sono manufatti di regimazione e sistemazione del corso fluviale, correzione dell’alveo, stabilizzazione dei versanti (sistemazioni idraulico-forestali), che riducono l’erosione e di conseguenza l’eccessivo deposito
  2. opere sui corsi d’acqua in pianura: sono manufatti che aumentano la capacità di trasporto del fiume.

INTERVENTI
In questo articolo verranno trattate le opere idrauliche inerenti il punto 1)
OPERE TRASVERSALI
Lo scopo di queste opere è quello di consolidare l’alveo imponendogli una minore pendenza e di conseguenza di ridurre l’erosione del corso d’acqua e del bacino di raccolta, mettendo l’alveo al riparo da erosioni anche durante le piene.
BRIGLIE
Manufatto trasversale all’alveo che introducendo salti di fondo, innalzano il fondo, diminuiscono per tratti la pendenza, riducono il trasporto solido e stabilizzano le sponde; sono realizzate prevalentemente in alvei montani a forte pendenza.La parte centrale attraverso la quale viene convogliata la portata del corso d’acqua è la cunetta o gàveta di forma trapezia, essa è limitata lateralmente da ali rivestite di pendenza 1/10 (copertina), che si collegano alle sponde. La cunetta deve essere dimensionata per consentire il passaggio della portata di progetto al centro del torrente, in modo da ridurre l’erosione delle sponde. Le briglie poggiano su fondazioni che ripartiscono le sollecitazioni sul terreno.
Progettazione
Verifiche:

  • idrauliche, corretto deflusso delle portate, assenza di erosione, assenza di sifonamento
  • statiche, verifiche a varie condizioni di carico che tengono conto dell’impatto di colate detritiche.

Tipologie

  • a parete verticale, di semplice realizzazione, indicata per opere idrauliche di modesta importanza, a valle la vena stramazzante è completamente aerea e distaccata dalla briglia e ciò riduce i fenomeni di abrasione, ma erode il fondo dell’alveo a valle e crea un cuscino d’acqua che dissipa l’energia mediante la formazione di un risalto.
    Per favorire il risalto idraulico e controllare la profondità dello scavo, si dispongono dei dispositivi a valle della zona di caduta (essi verranno trattati nel capitolo opere accessorie)
  • con parete di valle a gradoni, consente una dissipazione progressiva del carico mediante una seria di piccoli salti, è adatta a manufatti di modesta altezza e per valori contenuti di portata. I gradoni possono essere piani e senza rivestimento, o presentare una copertina in calcestruzzo.
  • con parete di valle inclinata, si impiega nei manufatti con altezza fuori terra superiore a 10 m con grandi portate e modesto trasporto di solido, la lama stramazzante è aderente alla pavimentazione, al piede dello scivolo si dispone il bacino di dissipazione in rilevato o in depressione.

Forme
Esempi di tipi di briglie sono:

  • a gravità
    Esse resistono alle spinte del terreno e dell’acqua solo in virtù del peso proprio; il loro profilo trasversale è di solito trapezio.
  • ad arco
    Esse trovano applicazione in caso di alveo stretto ed inciso fra pareti rocciose alle quali la struttura ad arco trasferisce la spinta; anche in questo caso la sezione della briglia è trapezia.
  • aperte o filtranti
    Esse sono caratterizzate da un corpo con unapertura centrale nella quale viene alloggiato un filtro, avente la funzione di operare una selezione granulometrica del materiale trasportato dalla corrente. Vantaggi
    – il costo dei materiali è minore di quello di una briglia a corpo pieno, in quanto la sua volumetria è inferiore
    maggiore durata funzionale, in quanto il volume disponibile per laccumulo si esaurisce lentamente, perchè il materiale medio-fine scende a valle dellopera
    – l’erosione del fondo dell’alveo a valle del manufatto è modesta
    – la cassa di accumulo dei sedimenti a monte della briglia durante le piene ordinarie tende ad autopulirsi.

MATERIALI

  • in legname
    palificata ad una parete
    pali verticali vengono piantati nel terreno per una profondità di 1-2m, collegati con pali orizzontali (correnti) che fungono da parete.Jsser
    costituita da pali disposti con l’asse nel verso della corrente, accostati così da formare una gaveta a forma di V, che favorisce la concentrazione della corrente nella parte centrale della sezione trasversale; la platea a valle è realizzata interamente in legno o in blocchi lapidei.briglia convessa
    costituita da pali disposti su due piani sovrapposti e orientati con angoli di 30-35° rispetto alla direzione principale della corrente. Anche in questo caso la gaveta ha forma di V.Caratteristiche legno
    opera bagnata: legni che resistono ai parassiti fungini come il larice, il castagno, la quercia
    opera è asciutta: legni che resistono agli insetti come il larice, il castagno, la quercia e le conifere
  • in legname e pietrame
    Si ottengono collegando tra loro legni trasversali e longitudinali assieme a pietrame. Opere trasversali di altezza contenuta.Vantaggi:
    – disponibilità in loco del materiale di riempimento
    – basso costo
    Svantaggi:
    durata ridotta delle parti in legname
  • in pietrame a secco
    Grosse pietre vengono disposte trasversalmente al corso d’acqua, secondo una pendenza variabile.Essi possono venire legati tra loro con cavi in acciaio, la forma è sagomata in modo da originare la gaveta nella zona centrale.Posizionate in:
    Corsi d’acqua caratterizzati da trasporto solido contenuto
    – Presenza in loco di massi
    – Pendenze non superiori al 12-14%
    Vantaggi:
    Basso impatto ambientale e paesaggistico per l’utilizzo di materiali naturali
    – Disponibilità in loco del materiale di riempimento
    Svantaggi:
    – Bassa resistenza strutturale
  • in massi cementati e legati
    Queste opere sono dei muri di sostegno realizzati con un getto di cemento sul quale vengono posate alcune file di massi, secondo una pendenza variabile. L’uso del calcestruzzo permette di realizzare opere di altezza e pendenza maggiori sino al 20%, ma è più difficile da realizzare in quanto si deve deviare il flusso dell’acqua durante la sua costruzione
    Vantaggi:
    – buona resistenza strutturale
    – costruzione poco costosa e veloce da realizzare
    Svantaggi:
    – rigidità, scarso adattamento a cedimenti differenziali
    – impermeabilità dell’opera
    – maggiori sollecitazioni
  • in pietrame in gabbioni
    Di forma parallelepipeda con lati 0,5-2m, realizzate con rete metallica a maglia esagonale di filo d’acciaio zincato, realizzate in zone dove vi è una buona disponibilità di pietrame.Vantaggi:
    – opere poco costose da realizzare in quanto le spese si limitano alla manodopera e all’acquisto delle reti
    – facilità d’integrazione grazie alla possibilità di assemblare gli elementi base (gabbie)
    – adatte per terreni in cui si possono verificare piccoli cedimenti o assestamenti in quanto la struttura è elasticità
    Svantaggi:
    – dimensioni maggiori di quelle di una briglia tradizionale
    – sconsigliate in aree scarsamente dotate di pietrame, in alvei con correnti violente e ricche di sedimenti
    – durata delle opere relativamente modesta.
  • in calcestruzzo
    Briglie di sostegno a sezione trapezia, spesso sono rivestite in pietrame per proteggerle dall’erosione ed armate per aumentare la resistenza meccanica.
    Posizionate in:
    zone di altezza considerevole in presenza di possibili colate di detriti
    – particolari esigenze di sicurezza strutturale
    – scarsa disponibilità di massi in loco
    – contesti urbanizzatiVantaggi:
    elevata resistenza strutturale
    Svantaggi:
    costi elevati

Opere accessorie briglie
A monte ed a valle delle briglie si possono disporre dispositivi di dissipazione di energia della vena fluida.
Muri d’ala
I muri a monte sono convergenti e sono collegati alla briglia in modo da impedirne l’erosione. I muri a valle, hanno lo scopo di evitare lo scalzamento delle sponde, sono calcolati come muri di sostegno e devono essere muniti di feritoie.
Platea
Per evitare la formazione del gorgo al piede della briglia si posano grandi massi per una lunghezza tale da contenere comunque la lama stramazzante. Il manufatto risulta di difficile conservazione.
Controbriglia
L’urto dell’acqua sul fondo dell’alveo ne provoca l’erosione, la creazione di un cuscino d’acqua e la formazione di un risalto. Per favorire il risalto idraulico e controllare la profondità dello scavo, si dispone una controbriglia a valle della zona di caduta.
Essa è una briglia di modesta altezza ed ha lo scopo di creare un bacino di calma, in grado di attutire l’impatto della lama stramazzante e quindi di salvaguardare la stabilità della fondazione. La controbriglia è dotata di una gaveta delle stesse dimensioni di quella della briglia stessa.Il bacino di dissipazione può essere:

  • senza rivestimento, il sistema più semplice e diffuso, la platea è assente, cosicché la vena stramazzante erode il fondo dell’alveo formando un bacino naturale. La controbriglia di valle ha la funzione di controllare la profondità massima di escavazione che non deve raggiungere il piano di fondazione della briglia e permettere la formazione di un risalto idraulico fra briglia e contro briglia.
  • rivestito e in rilievo, la platea è pavimentata mentre la controbriglia e rilevata rispetto al fondo dell’alveo, in tal modo sulla gaveta della controbriglia si forma una altezza critica che svincola il funzionamento idraulico del bacino di dissipazione.
  • rivestito e in depressione, la quota del fondo del bacino deve essere stabilita in modo tale che il risalto si formi e rimanga contenuto tutto all’interno del bacino stesso.

CUNETTONI
La sistemazione a cunetta dell’alveo è consigliabile quando non sia possibile alzare il letto del torrente con la sistemazione a gradinata.
L’intervento consiste nel trasformare l’alveo in canali con forte pendenza, sezione ristretta, buona profondità, rivestimento realizzato in pietrame posto a secco o legato con malta cementizia. I cunettoni riducono l’erosione del fondo e delle sponde, assicurano un’alta velocità elevate e quindi il trasporto di materiali.SOGLIE
Sono sbarramenti trasversali di altezze modeste, che di solito non emergono dal fondo dell’alveo, con lo scopo di evitarne lo scavo, non sono opere strutturali.Materiali
– calcestruzzo
– massi
RIVESTIMENTI
Essi vengono utilizzati sia sulle sponde che sul fondo degli alvei, proteggono da erosioni evitando fenomeni di scalzamento sulle opere esistenti, senza alcuna funzione di sostegno, vengono realizzati in particolare per la difesa degli attraversamenti del corso d’acqua.
Le loro caratteristiche sono di avere uno spessore trascurabile, permeabili o impermeabili, rigidi o flessibili; realizzati con materiali sciolti, in pietrame, in pietrame e verde, ecc.
PROTEZIONI SPONDALI
Le difese di sponda vengono utilizzate per difendere aree urbanizzate, edifici isolati, ferrovie, opere di attraversamento del corso d’acqua.
La scelta della difesa da adottare va fatta in base alla natura della sponda da proteggere, alla durata delle piene e alla forza di trascinamento esercitata dalla corrente.
L’influenza di queste opere sul regime della corrente è limitata alla modifica della scabrezza dell’alveo.
Queste strutture debbono sempre essere progettate eseguendo verifiche statiche e idrodinamiche della corrente in termini di tensioni di trascinamento; in funzione di questi calcoli si valuta quale tipo di opera da costruire.
Ad esempio se il materiale che costituisce il fondo e abbastanza grosso e le velocità dell’acqua non sono troppo elevate, l’erosione può interessare soltanto le sponde. In questi casi si interviene con opere che proteggono solo il piede delle sponde. Tipologie

  • RIGIDE
    Opere adatte a corsi d’acqua caratterizzati da limitati scavi di fondo o quando l’opera può essere impostata direttamente su roccia non erodibile.
    Muri di sponda
    Sono opere di sostegno a gravità di inclinazione superiore al 100%, hanno fondazioni profonde ed estese (2-3m) protette da grossi massi per ridurre l’erosione. Posizionate in tratti di sponda in cui lo spazio disponibile è limitato.Materiali: calcestruzzo rivestito in pietrame, massi cementati, massi a secco, calcestruzzo armatoVantaggi:
    – elevata resistenza strutturale
    – buona durabilità
    Svantaggi:
    – rigidità dell’opera, tendenza a lesionarsi in caso di cedimenti del terreno di fondazione
    – impermeabili per cui sono sollecitati a spinte e pressioni dell’acqua elevate
    – aumento della velocità in prossimità del muro
  • FLESSIBILI
    Scogliere
    L’uso di tali soluzioni presuppone la presenza di sponde ad inclinazione non accentuata.
    Il punto più delicato di questa difesa è il piede e quindi, per evitare lo scalzamento, occorre costruire una solida base con grossi massi.Materiali: massi e calcestruzzo, massi a secco, massi a secco legati (le pietre sono collegate tra loro tramite funi di acciaio ancorate ai massi con chiodi cementati, ciò riduce lo scalzamento dei massi), in gabbioni, legname e pietrame.Vantaggi:
    – buona resistenza alle sollecitazioni
    – si adatta ai cedimenti differenziali del terreno di posa
    – permette il drenaggio delle acque in quanto è permeabile
    – elevata durabilità
    – costi ridotti
    – facile da riparare o ricostruire
    Svantaggi:
    – costi elevati quando i massi non sono reperibili in loco

PENNELLI
Opere che deviano la corrente dalla zona che deve essere protetta, posti a monte della stessa. Si tratta di opere che sporgono in alveo e che vengono realizzate soltanto se la larghezza di questo lo consente. La loro altezza deve essere sufficiente perchè non siano mai sormontati durante le piene.
E’ importante ricordare che la deviazione della corrente può provocare danni sulla sponda opposta, di questo bisogna tenere conto in fase di progetto.

TEMPIO GRECO

069tempio00Il tempio può essere considerato la più impegnativa realizzazione dell’architettura greca, esso era la dimora terrena degli dei.
Il concetto base del tempio greco è la continua relazione che esiste fra l’elemento divino e quello umano.
VOCABOLARIO069tempio01A
Acroteri: statua in terracotta o in marmo, posta a uno dei vertici dei frontoni dei templi o sul colmo del tetto, alla quale era attribuita la funzione simbolica di proteggere l’edificio dal male.069tempio03– Antefisse: elemento della copertura dei tetti posto sulla testata delle travi del tetto o al termine delle tegole dei templi; in pietra o terracotta, può avere la forma di palmetta, di testa umana, di Gorgone.069tempio02Architrave: elemento orizzontale che collega fra loro le varie colonne del tempio e serve da appoggio per le travi del tetto, le quali sono ricoperte da tegole in marmo o in terracotta.
C
– Capriata: elemento architettonico, tradizionalmente realizzato in legno, formato da una travatura reticolare triangolare verticale, usata come elemento base di una copertura del tetto.
Cella: la vera e propria casa del Dio (oikos) che ospita la statua della divinità e dove il sacerdote era l’unico a poter essere ammesso. Ambiente a pianta rettangolare, il cui accesso è di solito in asse con l’ingresso, può essere suddivisa a 2 o tre navate. Si presenta come uno spazio buio, rischiarato parzialmente solo da lampade o bracieri.
Colmo: trave che collega il vertici superiori della capriata.
Colonna: è costituita dal capitello, il fusto ed eventualmente la base. Verranno trattate in un successivo articolo.
Cornice: aggetta sul fregio sottostante al fine di proteggerne i bassorilievi dalla pioggia.
Crepidoma. basamento a gradini su cui sorge il tempio.
D
Deambulatorio: galleria porticata che circonda la cella.
F
Fregio: elemento decorativo di una struttura architettonica, allungato e orizzontale, scolpito o dipinto, di solito recante motivi stilizzati o geometrici.
Frontone: facciata presente sui lati corti.
G
Geison: parte sporgente superiore di una trabeazione.
Guttae: decorazione a gocce poste sotto le regulae.
I
Intercolunnio o intercolumnio o intercolonnio: spazio compreso fra due colonne di un colonnato, misurato nella parte inferiore della colonna, di solito è assunto come unità di misura.
L
Lesene: elemento verticale di un ordine architettonico addossato a parete, consiste in un fusto, appena sporgente dalla parete stessa, con i relativi capitello e base, la sua funzione è puramente decorativa e non portante.069tempio04M
Mètope: lastre, originariamente liscie, scolpite, dipinte, decorate a bassorilievo con scene tratte dalla mitologia.
Mutuli: decorazione continua a gocce, leggermente inclinata per far sgocciolare meglio l’acqua.
N
Naos: struttura centrale del tempio, formata da cella e pronao, più eventuale opistodomo.
P
Peribolos: spazio cintato da muro attorno agli antichi templi greci, spesso adorno di statue, altari e monumenti votivi.069tempio05Peristasi o Ptèron o Peristilio: colonnato quadrangolare che circonda tutti e quattro i lati della cella.
Piedritto: elemento architettonico verticale portante.
Plinto: elemento che ha funzione di basamento. Nei tempio greco è un basso parallelepipedo di pianta quadrata che sostiene la base della colonna.
Prònao: parte anteriore del tempio, consiste in un portico colonnato, precede la cella; ha la funzione di filtro simbolico tra l’esterno (realtà umana) e l’interno (realtà divina).
Propilei o Propylon:  costruzione edificata davanti (pro) ad un’entrata (pylh).
Prostrilo o Prostòon: portico di colonne sulla facciata, senza restanti colonne esterne sui lati.
R
Regulae: elemento rettangolare applicato sulla tenia, posto in corrispondenza dei triglifi e decorato con guttae.
S
Sima o geison: cornice terminale dei templi greci, aveva per lo più un profilo concavo, aggettante, con decorazioni dipinte o a rilievo, di motivi geometrici.
Stilobate: superficie superiore di una piattaforma, sopraelevata rispetto al terreno circostante, dove si eleva la struttura del tempio. Ad esso si accede mediante una rampa d’accesso, o per mezzo del crepidoma.
T
Temenos: area consacrata ad una divinità.
Tenia: cornice con scarso aggetto.
Timpano: parte triangolare, sovrastante la facciata; esso ospita sculture in altorilievo o a tutto tondo, narranti episodi mitologici.
Trabeazione: insieme degli elementi strutturali e decorativi sostenuti dalle colonne, è composta da architrave, fregio ed eventuale cornice.
Trìglifi: rettangoli solcati verticalmente da quattro profonde scanalature che li percorrono verticalmente
STRUTTURA069tempio06L’edificio era sempre orientato est-ovest, con l’ingresso aperto verso est ed era costituito principalmente dalle seguenti parti:
Santuario (Temenos): recinto sacro, delimitato da un peribolos e comprendente anche un’area di terreno occupata o da spazi verdi e giardini, o da monumenti vari e edifici connessi col culto della divinità venerata nel santuario. Il luogo poteva ospitare i tesori (thesàuroi), che custodivano i doni votivi, sale per banchetti (hestiatòria) e portici (stoai).
L’ingresso all’area sacra poteva essere protetto da un porticato (propilei) antistante le porte del tempio.
Tempio: nelle tipologie elementari era composto dal Naos (pronao + cella), in quelle più articolate c’era il peristilio.
Il numero delle colonne laterali del peristilio era proporzionato a quello delle colonne in facciata, pari al doppio, al doppio + 1, o al doppio + 2 di esse. I colonnati erano edificati utilizzando il sistema trilitico, cioè una struttura formata da due elementi disposti in verticale (piedritti) e un terzo appoggiato orizzontalmente sopra di essi (architrave)
In base al numero di colonne presenti nella facciata si ha il tempio:

  • Distilo: 2 colonne
  • Tetrastilo: 4 colonne
  • Esastilo: 6 colonne
  • Ottastilo: 8 colonne, ecc.

Raro è il caso di un numero di colonne dispari.
In origine nella cella venivano svolti i riti sacri, in seguito essi furono spostati nella zona esterna dell’altare, davanti all’ingresso.
Altare: dove si svolgevano i riti ed i sacrifici.
TIPOLOGIE PRINCIPALI069tempio07

  • Tholos (o monoptero-periptero), tempietto circolare provvisto di cella.
  • Pseudoperiptero, caratterizzato da una peristasi costituita da semicolonne o lesene addossate ai muri esterni della cella e da una fila aggiuntiva di colonne ma solo sui lati corti. La cella poteva in tal modo essere realizzata con una maggiore ampiezza.
  • Pseudodiptero, come il precedente, ma ha una fila aggiuntiva di colonne su tutti e quattro i lati e da una terza fila solo sul lato anteriore. La peristasi è posta come se vi fossero due file di colonne, ma con omessa quella interna, cioè dell’ampiezza di due intercolumni.
  • Antis, tipologia più semplice di tempio, costituita solo dalla cella, dal pronao e da due colonne frontali. Le pareti dei lati lunghi della cella si prolungano in avanti fino a costituire le cosiddette ante (antae) a delimitare lateralmente il pronao.
  • Doppio antis (opistodomo), il pronao è replicato anche nella parte posteriore della costruzione.
  • Prostilo, il pronao è preceduto da una fila di quattro o più colonne (prostòon); in tal caso può mancare l’intero pronao.
  • Anfiprostilo, sia la fronte che il retro presentano il colonnato.
  • Periptero, un colonnato quadrangolare (ptèron o peristasi) circonda tutti e quattro i lati della cella.
  • Diptero, il porticato quadrangolare (peristasi) presenta, anche sui lati lunghi, una doppia fila di colonne.

ORDINE ARCHITETTONICO
TEMPIO DORICO
Questo ordine è il più antico dei tre e si diffuse a partire dal VI secolo a.C. sviluppandosi prevalentemente nel Peloponneso (Grecia continentale) e nelle colonie della Magna Grecia (Sicilia). All’Ordine Dorico si attribuisce la definizione della struttura e della forma del Tempio Greco.
Principali elementi architettonici:069tempio08

  • fondazione (euthynteria), generalmente in pietra locale, su di essa poggiano i gradini di accesso al tempio (crepidoma)
  • stilobate
  • colonne, verranno trattate nel prossimo articolo
  • trabeazione, costituita da:
    • architrave, costituita da una fila di grandi blocchi lisci posti senza soluzione di continuità sopra le colonne, essi si congiungono al centro della colonna
    • fregio, della stessa altezza e lunghezza dell’architrave, posto al di sopra di quest’ultima e composto da metope, posizionate ad intervalli regolari tra due triglifi. Il fregio deve sempre iniziare con un triglifo
    • tenia, posta tra l’architrave e il fregio, è un listello continuo sul quale sono applicati degli elementi rettangolari, le regulae, sotto alle quali ci sono le guttae o gocce, che sono dei piccoli elementi decorativi pendenti di forma cilindrica o tronco-conica. Regulae e guttae sono posti in corrispondenza dei triglifi.069tempio09
  • frontone, formato da:
    • cornice, a sua volta costituita da:
      • ghèison orizzontale: elemento poggiante sulla trabeazione, decorato sulla superficie inferiore con basse tavolette (mutuli) ornate da più file di guttae
      • ghèison obliqui: due elementi inclinati convergenti
      • sima: parte decorativa di terrecotte dipinte che ricoprivano i ghèison obliqui
    • timpano, di forma triangolare che andrà ad accogliere le decorazioni frontonali
  • copertura, formata da:
    • tegole di laterizio, convesse e piane e solo talvolta in marmo
    • grondaia
    • antefisse, poste sui lati lunghi delle grondaie, assolvevano il doppio compito di scarico delle acque piovane e di evitare che l’acqua filtri sotto il tetto.
    • acroteri: posti alle estremità del tetto e sulla sommità dove iniziano i due spioventi.069tempio09a

Apparato decorativo
Esso consisteva in:

  • intonaco bianco che copriva tutta quanta l’architettura templare
  • dipinti a motivi geometrici con diversi colori di parti della struttura
  • gruppi di statue in marmo o in bronzo sistemate ordinatamente all’interno del frontone, con le sculture più alte poste verso il centro mentre quelle più piccole disposte ai lati, fino a quelle più basse che raggiungevano gli angoli del frontone;
  • terrecotte architettoniche dipinte con vivaci colori, che decoravano i bordi del tetto ed i suoi apici.

Armonia del tempio dorico
L’armonia dell’ordine dorico deriva in larga misura dalle dimensioni dei suoi elementi e dal rapporto esistente fra le diverse parti architettoniche. Vi è una ricerca di proporzionato equilibrio fra verticali e orizzontali, fra pieni e vuoti.
Il tempio dorico viene costruito interamente sul modulo (misura del diametro della colonna a terra o la misura dello spazio esistente fra due colonne sul fronte del tempio).
Le sue caratteristiche erano:

  • Altezza della colonna è 4 o 5 volte il modulo.
  • Trabeazione, così come il frontone, è 1/3 della colonna.
  • Architrave e il fregio sono ciascuno 1/6 dell’altezza della colonna
  • Basamento del tempio con i gradini è 1/2 della trabeazione
  • La lunghezza del tempio è il doppio della larghezza
  • L’interasse delle colonne: l’intercolumnio è maggiore tra le colonne in corrispondenza dell’ingresso alla cella, mentre viene ridotto tra le colonne laterali
  • Le colonne angolari del tempio risultano leggermente ovali affinché la loro vista di lato o di fronte risulti coerente con le altre colonne
  • Un maggiore diametro delle colonne esterne dei prospetti nei templi peripteri, perché avendo come sfondo il cielo, se di pari diametro di quelle centrali, sarebbero apparse più snelle
  • Una leggera inclinazione delle colonne del fronte verso l’interno del tempio, per correggere la percezione dell’occhio umano che tenderebbe a vederle pendere verso l’esterno e come in procinto di cadere addosso
  • Le colonne angolari risultano anch’esse lievemente inclinate verso il centro per evitare effetti di divergenza
  • Un leggero incurvamento convesso, sia dello stilobate che della trabeazione (al centro le altezze del pavimento e della trabeazione sono maggiori che non ai lati) per correggere la tendenza dell’occhio umano a vedere ricurve verso l’alto le linee orizzontali che sostengono masse o volumi
  • Le colonne angolari venivano presumibilmente colorate di nero, per mantenere la sequenza di chiaro-scuro tra le colonne bianche e lo sfondo del naos

Esempi di templi dorici in Italia: Paestum, Agrigento e Selinunte, Segesta (incompiuto), tempio di Atena a Siracusa (trasformato nel Duomo).
TEMPIO IONICO
Comparve intorno alla metà del VI secolo a.C. (quasi contemporaneamente con quello dorico). Oltre alla forma, più leggera e slanciata del tempio dorico, si caratterizza per alcuni elementi innovativi:069tempio10

  • L’architrave è suddivisa orizzontalmente in tre fasce, ciascuna aggettante verso l’esterno rispetto a quella inferiore, e coronata superiormente da modanature
  • il fregio è continuo e scolpito con bassorilievi
  • la cornice è decorata con dentelli

Esempi di templi ionici sono il tempio di Atena Nike sull’Acropoli ad Atene, il tempio di Artemide ad Efeso.069tempio11TEMPIO CORINZIO
Comparve intorno alla fine del V secolo a.C.
La struttura del tempio corinzio non è dissimile da quella dello ionico, se non per il capitello e per la base della colonna.
Esempi di templi corinzi sono il tempio di Zeus Olimpio ad Atene, i templi a Jerash (Gerasa).069tempio12

CORO e CORISTI

051Coro00Definizione
Il coro è un complesso di persone che cantano insieme, a più voci o all’unisono, con o senza accompagnamento musicale.
La parola deriva dal latino chorus e dal greco χορός.
ORGANICI
I componenti sono chiamati cantori o coristi. Il direttore è detto Maestro del coro.
Voci
Il coro è composto da voci maschili:

  • tenori = estensione acuta maschile
  • baritoni = estensione intermedia maschile
  • bassi = estensione più grave della voce umana

voci femminili:

  • soprani = estensione più acuta della voce umana
  • mezzosoprani = estensione intermedia femminile
  • contralti = estensione più grave delle voci femminili

Altre distinzioni possono subentrare, a seconda delle sfumature di timbro o per diversità di estensione all’interno di ciascuna voce.
Esempi:
Soprano

  • drammatico = timbro robusto e pastoso con suoni scuri
  • leggero = voce acuta, limpida e cristallina
  • lirico = voce intermedia
  • coloratura = voce leggera (acuta e di timbro chiaro). Si distingue per la capacità tecnica di eseguire una serie di ornamenti virtuosistici su una parola o su una sillaba utilizzando al massimo l’agilità vocale

Basso

  • buffo = voce agile e chiara, specializzato nel repertorio comico (Dottor Bartolo nel Barbiere di Siviglia, Dulcamara ne L’elisir d’amore)
  • profondo = voce grave e molto scura (Sarastro ne Il flauto magico, Grande Inquisitore nel Don Carlos di Verdi)

A seconda del repertorio, le parti di soprano e contralto, possono essere cantate da bambini (voci bianche) o da cantanti di sesso maschile (contraltisti e sopranisti); questi ultimi cantavano in falsetto, oppure erano evirati o castrati.
Il coro si dice a VOCI PARI quando comprende esclusivamente voci:

  • maschili = virile

052Coro01

  • femminili = femminile

052Coro02

  • di bambini = voci bianche (diviso nei due registri di soprano e contralto)

052Coro03
Nel Rinascimento il coro a voci pari, si riferiva alla tessitura della composizione, che poteva esprimersi verso l’acuto o verso il grave, ad esempio SSAA (soprano, soprano, alto, alto), oppure ATTB (alto, tenore, tenore, basso) ecc.
052Coro04Oppure a VOCI DISPARI:

  • maschile e femminile = a voci miste

052Coro05

  • voci maschili e di fanciulli
  • così via

Numero coristi

  • grande: 80 – 100 elementi in poi
  • medio: 40 – 70 elementi
  • piccolo: da 2 o 3 voci, fino a 5 o 6 cantori (gruppi madrigalistici)

TIPOLOGIE

  • monodiche, ossia coro all’unisono, quando tutte le voci intonano la stessa melodia, come nel canto Gregoriano e Ambrosiano (medioevo)
  • polifoniche, ossia per due o più voci. In questo caso il coro è diviso in più sezioni, a seconda delle diverse estensioni vocali e ogni sezione canta una melodia diversa da quella degli altri.
  • etero fonico, ossia quando le voci del coro cantano contemporaneamente varianti della stessa melodia, tipico di certa musica popolare.
  • a cappella, ossia il coro che canta senza accompagnamento strumentale (o alla romana o alla Palestrina)
  • concertante, ossia quando è accompagnato da strumenti musicali

CONSIGLI ai CORISTI
Respirazione
Il miglior tipo di respirazione è quella diaframmatica, che oltre alla dilatazione dei polmoni, determina il riempimento della “pancia”, con il marcato abbassamento del diaframma.
Non sempre il segno della legatura nello spartito, assolve il compito della respirazione; in tal caso il maestro del coro decide quando e come si deve respirare.
Buona norma generale è quella di non contrastare la giusta declamazione del testo e di non spezzare la parola con il respiro.
L’inspirazione è bene che sia rapida, l’espirazione dovrà essere sempre lenta al fine di economizzare aria.
Per mantenere la stessa nota, serve una pressione maggiore, ad essa corrisponde una maggiore tensione delle corde vocali.
Pronuncia
Per una buona impostazione della voce e per una buona pronuncia si deve portare sempre la voce avanti nell’emissione delle singole vocali, un po’ come se si volesse spingere l’aria davanti.
Intonazione
Tendenzialmente si ha la propensione a calare.
Pericolosi per l’intonazione sono tutti i procedimenti per semitono cromatico ascendente che portano facilmente a crescere, mentre quelli discendenti a calare.
052Coro06Nemiche dell’intonazione sono anche le lunghe note comuni o ripetute poiché generano stanchezza e di conseguenza tendenza a calare.
Un’esecuzione veloce è più agevole di una lenta, poiché mantenere il fiato in costante altezza non è semplice.
Interpretazione
Interpretare una composizione vuol dire ricreare il pensiero dell’autore con la maggiore fedeltà possibile al suo spirito.
Mentre la mano destra del maestro, assolve principalmente il compito ritmico, la sinistra sostiene quello espressivo: dinamica, sfumature, preavvertimenti, ecc.
Di solito i maestri di coro dirigono senza bacchetta, per avere maggiore libertà nella varietà del gesto.
L’attacco viene diviso in due fasi:

  • attesa, al levare il coro respira contemporaneamente
  • attacco, al battere si ha l’attacco

Per gli attacchi in levare è opportuno studiare di volta in volta il miglior gesto.
I principali gesti sono i seguenti:

  • crescendo = gesto ampio
  • diminuendo = piccoli gesti
  • legato = gesti morbidi
  • staccato = rapidi scatti ottenuti con opportuna elasticità del polso.

In ogni caso il gesto del direttore resterà sempre un fatto soggettivo ed empirico.
Se la composizione prevede un attacco non contemporaneo delle voci, il direttore darà la nota solo alla voce che entrerà prima delle altre; in tal caso i cantori devono prendere la nota in relazione a quelle che precedono l’attacco.
L’attacco deve essere preciso, esatto nell’intonazione, nell’intensità e nel ritmo. Tutti devono attaccare senza incertezza. Da evitare la deprecabile abitudine di aspettare che siano gli altri ad attaccare per poi inserirsi con discrezione.
Qualche secondo di arresto, di pausa, fra inspirazione ed espirazione (apnea), determinerà attacchi più sicuri. L’ultima nota deve essere tenuta con la stessa intensità dal principio alla fine e poi staccata senza sforzo da tutti.
Colorito
Particolare cura è rivolta al fraseggio, paragonabile alla punteggiatura grammaticale, che deve essere studiato con estrema precisione e indicato sulla partitura con opportuni segni di legatura e di respiro.
I crescendo, i diminuendo e gli accenti devono essere proporzionati al contesto generale di quel che si sta cantando.
Disposizione del coro
Non esiste uno schema fisso e valido per ogni circostanza circa la disposizione delle voci di un coro.
Durante un concerto, la partitura deve servire al cantore solo per assumere un atteggiamento composto, oltre che per procurargli una certa sicurezza di ordine psicologico.